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Quelli che guidavano già più di 100 anni fa

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Si può far risalire al 1770, anno in cui l’ingegnere francese Nicolas-Joseph Cugnot presentò il suo carro a vapore, l’inizio della storia dei veicoli a motore. Dovette comunque trascorrere quasi un secolo prima che gli effetti del processo di massiccia industrializzazione avviatosi a partire dalla seconda metà dell’Ottocento nella quasi totalità dei paesi europei si facessero sentire anche nel campo della mobilità, stimolando le ricerche di studiosi e tecnici quali Siegfried Marcus, Nikolaus August Otto, Gottlieb Daimler e Carl Friedrich Benz. Nell’ultimo trentennio del XIX secolo i progressi compiuti nel campo della trazione (con il passaggio dal motore a vapore a quello a combustione interna a quattro tempi, poi a due tempi) e dell’estetica (con la differenziazione sempre più marcata tra autovettura e carrozza) e soprattutto la nascita delle prime fabbriche di automobili portarono ad una rapida diffusione del nuovo mezzo di trasporto.

Si può far risalire al 1770, anno in cui l’ingegnere francese Nicolas-Joseph Cugnot presentò il suo carro a vapore, l’inizio della storia dei veicoli a motore. Dovette comunque trascorrere quasi un secolo prima che gli effetti del processo di massiccia industrializzazione avviatosi a partire dalla seconda metà dell’Ottocento nella quasi totalità dei paesi europei si facessero sentire anche nel campo della mobilità, stimolando le ricerche di studiosi e tecnici quali Siegfried Marcus, Nikolaus August Otto, Gottlieb Daimler e Carl Friedrich Benz. Nell’ultimo trentennio del XIX secolo i progressi compiuti nel campo della trazione (con il passaggio dal motore a vapore a quello a combustione interna a quattro tempi, poi a due tempi) e dell’estetica (con la differenziazione sempre più marcata tra autovettura e carrozza) e soprattutto la nascita delle prime fabbriche di automobili portarono ad una rapida diffusione del nuovo mezzo di trasporto.
 Per quanto riguarda l’Italia, essa «seguiva a distanza, non tanto per la mancanza di uomini di genio, ma per l’enorme fatica necessaria a costruirsi una struttura economica e industriale di pari livello con il resto d’Europa» (Donatella Biffignandi, “Nascita e sviluppo dell’industria automobilistica”, Treccani.it). Tra il 1851 e il 1858 furono infatti due scienziati italiani – padre Eugenio Barsanti e Felice Matteucci – gli artefici del progetto del primo motore atmosferico, nel quale erano contenuti i principi base del motore a scoppio; e nel 1895 Enrico Bernardi, professore all’Università di Padova, fu il primo a realizzare una piccola vettura a tre ruote: «Gioiello di meccanica, fabbricata nell’officina della Società Miari e Giusti di Padova, essa segnò un grande passo nella concezione della vettura moderna […] Fu un vero peccato che il Bernardi, ricco più di teoria che di pratica, non abbia saputo trasformare la sua macchina seguendo un più moderno e pratico indirizzo nella costruzione» (Salvator Gotta, “La strada di fuoco”, F. Fabbri Editori, Milano 1954). Il governo italiano aveva tuttavia puntato sul potenziamento della rete ferroviaria, estendendo nel 1865 all’intero paese una legge del Regno di Sardegna che «proibiva la costruzione di una strada importante tra due località già unite da una linea ferroviaria» (D. Biffignandi) e scoraggiando così gli investimenti in campo automobilistico; solo nel 1904 avvenne un cambio di rotta, peraltro parziale, con la decisione di concedere finanziamenti per l’allestimento di servizi automobilistici nei luoghi «impossibili da raggiungere con la ferrovia: con il sottinteso che dove esistevano le ferrovie i fondi non venivano erogati» (D. Biffignandi).
 Nel 1893 l’unica automobile presente in Italia era la Peugeot tipo 3 di proprietà del titolare delle Industrie Lanerossi di Schio, Gaetano Rossi, alla quale andò a affiancarsi l’anno successivo la Panhard & Levassor del marchese fiorentino Carlo Ginori. Le premesse erano quindi ben poco incoraggianti; e tuttavia, nel volgere di un breve lasso di tempo, la platea di appassionati andò progressivamente ampliandosi, inducendo gli importatori, ormai impossibilitati a soddisfare tutte le richieste, a fondare le prime industrie automobilistiche nazionali. Nel decennio 1898–1908 Torino vide sorgere quarantasette fabbriche, Milano trentadue, Roma otto, Genova cinque; se nel 1899 i veicoli circolanti in Italia erano 111, nel 1905 il numero era già asceso a 2.174, per toccare dopo altri cinque anni quota 7.762. La crescente diffusione di veicoli a motore lungo le strade della penisola indusse il governo ad avocare a sé il compito, in precedenza affidato ai singoli Comuni, di fissare le regole della circolazione: con il Regio Decreto N. 416 del 28 luglio 1901 si introducevano norme per il conseguimento delle licenze di guida per i vari mezzi (tali licenze erano rilasciate dal prefetto, il quale aveva la possibilità di sospenderle o revocarle in caso di infrazioni ripetute), l’obbligo di sottoporre i veicoli a revisione in caso di incidente di grave entità e comunque dopo quattro anni, il divieto di salire sui marciapiedi e sugli spazi riservati ai cavalli; il limite di velocità era fissato a 25km/h. La consacrazione dei nuovi mezzi a motore arrivò in Italia con la Prima guerra mondiale, al termine della quale si potè ritenere conclusa l’epoca “pionieristica” dell’automobile.

Anche il Biellese, caratterizzato da un massiccio sviluppo industriale, visse intensamente quella stagione, non potendo guardare che con interesse e simpatia alla diffusione del nuovo mezzo del quale si intravedeva anche la possibilità di impiego per il rapido trasporto delle merci da un luogo all’altro. Nel 1913, anno di fondazione della locale sezione dell’A.C.I., le automobili erano ormai una presenza consueta sulle strade biellesi: «[…] in quell’anno si fonda l’Automobile Club di Biella, il primo del Piemonte dopo Torino. E perché un sodalizio del genere venisse costituito bisognava che numerosi fossero già allora i proprietari di automobili […]», scrisse “Eco di Biella” sul numero del 7 aprile 1960, aggiungendo che «una sessantina di essi è ancor oggi viva e può essere radunata per una cerimonia semplice e gentile intesa a festeggiare l’ambito anniversario». La manifestazione cui faceva cenno il giornale fondato da Germano Caselli era stata indetta dall’A.C.I. di Biella al fine di celebrare i più longevi titolari di patente di guida: «Sono esattamente 110 i pionieri del volante che si aduneranno domenica in un noto ristorante della nostra città per un pranzo al quale interverranno, oltre al presidente e al direttore dell’A.C.B, le autorità locali per consegnare i distintivi d’oro a quelli che conseguirono la patente dal 1900 al 1913 (anno di fondazione dell’A.C.B.) e d’argento a quelli che la conseguirono nel 1914 e 1915» (“il Biellese”, 08.04.1960). Il decano degli automobilisti biellesi era Gregorio Pivano, il quale aveva ottenuto la licenza di guida nel lontano 1901: «Era autista presso la famiglia Marsaglia di Torino e nel 1902 partecipò alla prima corsa in salita Susa-Moncenisio» (“Eco di Biella”, 07.04.1960); nella lista dei patentati dell’anno 1908 spiccava il nome di Clotilde White Sella, unica esponente del genere femminile: «Ottenne la licenza per la guida […] nell’agosto del 1908, compiendo con perfetta regolarità l’esame pratico sull’anello Pollone – Sordevolo – Biella a bordo della sua De Dion. Fatta eccezione per i periodi delle due guerre mondiali, la signora Sella non smise mai di guidare passando dalla De Dion alla Lancia 35 e via via provando tutte le Fiat che andavano uscendo. Oggi la signora Sella è ancora una provetta automobilista: guida la “600”, un’utilitaria che trova di comodissimo uso» (“Eco di Biella”, 07.04.1960).

La cerimonia di consegna dei distintivi ebbe luogo domenica 10 aprile 1960, presso «un noto locale del centro»; tra i presenti, oltre al sindaco Blotto Baldo, ai rappresentanti della Prefettura, della Questura, al presidente del Rotary Club Zaverio Bracco, spiccavano i piloti automobilistici Giovanni Bracco e Umberto Maglioli. Spettò al presidente dell’A.C.I. Biella Franco Bocca pronunciare il discorso ufficiale, nel quale invitò a ricordare «coloro che per primi hanno portato sulle strade biellesi il rombare delle automobili. Allora […] le strade erano sconnesse e gli automezzi non superavano i 30 chilometri all’ora; si viaggiava sulle “Prinetti”, le “Stucchi”, le “Peugeot”, le “Benz”, le “Daimler”, non sempre tali imprese erano facili» (“Eco di Biella”, 11.04.1960); si passò quindi alla consegna dei distintivi ai “pionieri” («Alcuni – scrisse “il Biellese” – apparivano stanchi sotto il peso degli anni, altri invece, nonostante i capelli bianchi, davano prova tuttora di eccezionale vitalità»), cui fecero seguito il rinfresco e gli interventi conclusivi.

Una serie di scatti fotografici suggellò la memorabile giornata: «[…] i veterani della guida si sono radunati su un terrazzo del ristorante per il gruppo fotografico. La vecchia “De Dion Bouton” dell’A.C. di Biella che rappresenta il più antico modello di auto esistente in città, era stata per l’occasione dipinta di nuovo con un bel giallo fiammante. Presero posto sull’auto la signora Bianca [Clotilde] White Sella, che ha al suo attivo 52 anni di guida, e il sordevolese Gregorio Pivano, che coi suoi 59 anni di anzianità, può giustamente vantare il titolo di veterano degli automobilisti biellesi» (“Eco di Biella”, 11.04.1960).

rolando.magliola@gmail.com

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