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Ecco come si può cambiare Biella

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Il movimento delle città in transizione si basa sul fatto che le persone decidano di fare qualcosa, anche di minimo, tipo ad esempio la creazione di orti comuni, il riciclaggio di materie di scarto come materia prima per altre filiere produttive, o semplicemente la riparazione di vecchi oggetti non più funzionanti in luogo della loro eliminazione come rifiuti

Rob si laurea nel 1996 in Gestione delle Risorse e della Qualità Ambientale. È un esperto di permacultura, una disciplina nata negli anni '70 incentrata sull'idea che un approccio sostenibile all'agricoltura non solo sia possibile, ma possa anche cambiare la vita della gente. Non solo perché smettono di avvelenarsi con quello che mangiano, ma soprattutto perché si tratta di un modo sano e bello di vivere. Da una breve ricerca in internet potrete vedere come la cosa sia tutt'altro che balzana. Dopo la laurea, Rob si trasferisce in Irlanda, vicino a Cork, e lì insegna appunto permacultura e anche architettura naturale. E cerca di portare quello che impara (e che insegna) nella dimensione pratica della cittadina in cui vive, collaborando con l'amministrazione locale.

Quando si rende conto del fatto che alcuni scienziati ritengono che il pianeta abbia già raggiunto (o stia per raggiungere) il picco del petrolio (cioè, l'aver consumato più di metà dei giacimenti petroliferi del mondo), che cosa fa? Che cosa facciamo, normalmente, noi, quando ci rendiamo conto di cose come questa? Niente. Ci preoccupiamo un po', forse. Ma in genere non cambiamo gran ché della nostra vita.

Rob, invece? Ognuno di noi è inserito in in certo contesto e lì esistono diversi elementi che compongono la realtà delle cose. C'è chi lavora in ospedale. Chi negli uffici del Comune. Chi ha messo su una piccola attività, un ristorante, un'officina, un agriturismo. Rob insegnava. Dunque aveva i suoi studenti. Allora decide di fare un progetto scolastico. L'idea era quella di applicare i principi della permacultura al problema del fatto che il petrolio sta finendo (magari ci metterà decine e decine di anni a finire, ma comunque sta già finendo). Alla fine del progetto una studentessa propone alla città di adottare il piano. E il Comune accetta. Rob, allora, che cosa avrà pensato? Che forse la scuola può davvero servire a qualcosa, io immagino.

Comunque lo ritroviamo di nuovo in Inghilterra, in una città il cui nome è diventato famoso nel mondo, Totnes. Lui era nato lì. Perché ci sia tornato dopo il progetto del College irlandese non si sa, forse è una cosa della sua vita privata. Quello che si sa è che Totnes è la prima Transition Town del mondo. Ma ce ne sono altre. Moltissime altre. Tra cui Biella. La transizione di cui parlava Rob era legata alla domanda: come faremo senza petrolio? Non sarà meglio che incominciamo ad attrezzarci? Presto la domanda diventò: non è che si potrebbe anche vivere meglio, già che ci siamo? Non potremmo magari trovare dei modi più sostenibili di coltivare la terra ma anche di costruire le case e usare l'energia eccetera eccetera…

Tutto questo a me sembra già sufficientemente bello, ma c'è un'altra cosa che sta alla base di questo movimento che lo rende davvero importante rispetto a quello che sta succedendo nel mondo: lo dice uno dei fondatori della permacultura, David Holmgren: “…una parte della società è pronta, disponibile e in grado sostanzialmente… di cambiare il proprio comportamento, se crede che ciò sia possibile e rilevante. Questa minoranza socialmente ed ecologicamente motivata rappresenta la chiave di volta di un cambiamento su larga scala”.

Il movimento delle città in transizione si basa sul fatto che le persone decidano di fare qualcosa, anche di minimo, tipo ad esempio la creazione di orti comuni, il riciclaggio di materie di scarto come materia prima per altre filiere produttive, o semplicemente la riparazione di vecchi oggetti non più funzionanti in luogo della loro eliminazione come rifiuti.

Sulle pagine di questo giornale, abbiamo già incontrato in passato un termine nuovo, un po' strano, forse, che ho inventato a Cittadellarte per descrivere quello che vogliamo e che vediamo già funzionare nel mondo in migliaia di esempi: si tratta di una forma di democrazia basata sul fatto che la gente fa, che si mette in gioco e fa le cose, invece che lasciar stare, e lasciar fare, sempre agli altri: invece che democrazia, quindi, parliamo di demopraxia. Praxia come pratica.
Allora, se qualcuno, oggi, mi chiedesse come si può passare nel nostro territorio dal dire al fare, dalla teoria (ammesso che di teoria si possa parlare in riferimento a questa rubrica) alla pratica, innanzitutto io direi loro di prendere contatto con questo movimento, si chiama biellese in transizione, hanno un sito http://bielleseintransizione.wordpress.com, sono arrivati qui grazie a Ellen, una donna che fa girare le erre e sorride spesso guardandoti negli occhi e dice le cose precisamente, senza spreco. Sono un gruppo, anzi, sono ormai 4 gruppi, dedicati a diverse aree del nostro territorio, Alta Valle Elvo, Bassa Valle Elvo, Valle Oropa e Valle Cervo.

E si occupano delle cose di cui si occupa la rete delle città in transizione, che se guardi su una googlemap del progetto, sono davvero tante. Disegnano una geografia del cambiamento nel mondo. E ovviamente non sono sole, perché Rob si è messo in gioco lungo il percorso di questo cambiamento alcuni anni fa, verso il 2005, ma ci sono altre migliaia, davvero migliaia di progetti e organizzazioni che vivono la demopraxia. Abbiamo cominciato a raccoglierli in un sito, c'è una mappa anche lì, a livello mondiale, si chiama geographiesofchange.org. Ah, già, forse è inutile dirlo, ma repetita iuvant: il fatto è che Cittadellarte in sé è un città del cambiamento e qui potete trovare non solo informazioni, ma anche possibilità di mettersi in gioco, nei cantieri della trasformazione, come questo che abbiamo raccontato oggi del Biellese in transizione, che organizza un incontro pubblico il prossimo 7 febbraio, si chiama open evening, che vuol dire che la partecipazione è libera, aperta. Alle 18:00. Dove? Beh, a Cittadellarte no?

Paolo Naldini

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